BIBLIOTECA MEDICEA LAURENZIANA
    Díaita

 

Pluteo 18 sin. 7

32. Tacuinum sanitatis (traduzione latina del testo arabo di Ibn But.la¯n)

Italia, sec. XIV
membr.; mm 346 x 242; cc. III (cart.), 42, III’ (cart.)
Pluteo 18 sin. 7

Il codice, composto da due quinterni iniziali, un quinterno finale e un sesterno, contiene il Tacuinum sanitatis, traduzione latina del trattato redatto a Baghdad nell’XI secolo dal letterato e medico Ibn But.la¯n e imperniato su sei principi fondamentali, le sex res non naturales. L’intento dell’opera, appartenente a un genere di letteratura essenzialmente pratica, si legge chiaramente nell’incipit del prologo: «Tacuinum sanitatis de sex rebus que sunt necessarie cuilibet homini ad cotidianam conservationem sanitatis sue» (c. 1rA).
Diverse ipotesi sono state avanzate riguardo all’autore della traduzione, alla localizzazione e alla datazione: si è fatto il nome di Gherardo da Cremona (1114-1187), ma anche di Faraj ben Salim (seconda metà del sec. XIII), un medico ebreo originario di Agrigento che alla corte del re di Napoli Carlo d’Angiò tradusse il Tacuinum aegritudinum del medico di Baghdad Ibn Jazla (sec. XI), testo spesso confuso e copiato insieme all’opera di Ibn But.la¯n. L’ipotesi più plausibile localizza invece la traduzione alla corte del re di Sicilia Manfredi, collocandola nella seconda metà del XIII secolo.
L’opera, divisa in 280 paragrafi, è una presentazione sinottica delle res non naturales. A ogni voce è legata una definizione, in una specifica colonna, circa la sua natura, le sue buone e cattive proprietà, gli umori prodotti, gli effetti sul corpo umano e il modo di correggerli o favorirli, ma anche aetates, tempora, regiones di produzione. Un testo parallelo riporta le posizioni delle auctoritates, mentre nel margine inferiore è un commentario lungo quaranta capitoli.
L’apparato decorativo di questo elegante esemplare si concentra sulla prima carta, su cui è miniato nei margini sinistro e inferiore un fregio arricchito da figure umane (le due in basso, con libro in mano, raffigurano probabilmente dei dottori) e una piccola iniziale in campo dorato, sul cui fondo si staglia un ritratto, forse dell’autore; su ogni carta sono inoltre presenti piccole iniziali filigranate rosse e blu e titoli rubricati. La miniatura ha fatto pensare a una scuola di ambito bolognese (Carbonelli-Ravasini), anche se il copista, che si sottoscrive a c. 42v, denuncia nel nome un’origine toscana: «Et ego Falivacius de Monterapoli hoc opus Altissimi adiutorio scripsi. Deo gratias» (Monterappoli è una località presso Empoli).
Il codice è giunto in Laurenziana nel 1766 (cfr. il cartellino incollato sulla controguardia anteriore) dalla biblioteca del convento fiorentino di Santa Croce; a c. IIIr, su un frammento membranaceo recuperato dalla vecchia guardia, è la nota di possesso, «Iste liber est Conventus Sancte Crucis de Florentia ordinis minorum Tacchuinum artis medicine»; sul verso sono il titolo dell’opera e la vecchia segnatura «n° 85», ripetuta nel margine superiore di c. 1r.
Si espone la c. 1r con il prologo del Tacuinum.

[E.A.]

Bandini 1774-1778, IV, col. 134; Carbonelli-Ravasini 1918, pp. 60-61, 65; Moly Mariotti 2000, pp. 62, 64.

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