BIBLIOTECA MEDICEA LAURENZIANA
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SEZIONE II

Se in età classica la misura era un ideale supremo, nella cultura cristiana viene ancor più esaltata, in quanto il cibo parco era considerato uno strumento per favorire l’ascesi, in una concezione della malattia che recupera in parte l’idea di una punizione divina.

Questo approccio si basava sul principio di continenza e su una diversa selezione degli alimenti, in cui la rinuncia alla carne acquistava un grande valore simbolico, come volontà di resistere alle tentazioni del mondo.

In questa prospettiva di autodisciplina, la condotta alimentare viene normata in modo preciso nelle regole monastiche; in altri testi, come i Regimina mensium, l’accento viene posto quasi esclusivamente sugli effetti benefici delle diverse prescrizioni, secondo la tradizione della medicina ippocratica.

In questa fase di transizione, la spiccata attenzione all’alimentazione, che viene ad occupare in modo prevalente l’ambito concettuale del termine “dieta”, è confermata dalla selezione delle opere di Ippocrate e Galeno che vengono tradotte e commentate: si diffondono anche i calendari stagionali e i Regimina sanitatis, che nascono nell’Italia delle corti principesche e dei ricchi mercanti.

Alla scuola medica di Salerno è legato uno dei più popolari libri d’igiene del tardo Medioevo, il Regimen sanitatis Salernitanum, che è una summa di precetti, compendiati inizialmente in 362 versi.

Da allora il fenomeno si estende a tutto l’Occidente medievale: si diffondono una precettistica imperniata sulla dieta e l’igiene fisica e i trattati sulla conservazione della sanità, personalizzati e dedicati a personaggi illustri, finalizzati a mantenere il soggetto in buona salute (11-15).

Nello stesso periodo compaiono i Consilia, prescrizioni mediche e dietetiche rivolte a pazienti individuati nominalmente e destinate a curare una precisa malattia; molto frequenti sono i Consilia contra pestem, che riflettono l’attenzione verso questa patologia e sono dedicati sia a individui singoli sia a intere comunità (16-18).

In questo contesto di grande sincretismo, sembra che questi testi vogliano delineare una sorta di utopia salutista, da conseguire con l’uso della propria sapienza, senza medici o medicine, là dove il cibo ha un ruolo fondamentale nella costruzione del benessere.

Cibus e potus si configurano ancora come fondamentali nell’opera di Ildegarda di Bingen (20), badessa del monastero e depositaria di un sapere medico nel solco della tradizione cristiana, così come nel Compendium di Barnaba da Reggio (metà del XIV secolo; 21).

In termini di influenza sulla dietetica medievale, i testi arabi tradotti in latino nell’Italia meridionale da Costantino l’Africano sono particolarmente importanti.

Anche il Canone di Avicenna e il Continens di Rhazes ebbero profonda influenza in questo campo, insieme al Tacuinum sanitatis del medico cristiano Ibn Butlan (metà dell’XI secolo), alla traduzione del Secretum secretorum, del Colliget di Averroè, del Regimen sanitatis di Avenzoar e di quello di Maimonide (26-34).

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