BIBLIOTECA MEDICEA LAURENZIANA
    Díaita

 

Conventi Soppressi 276

30. Miscellanea di testi medici

Toscana, sec. XIII ultimo quarto-XIV primo quarto
membr.; mm 378 x 253; cc. III (cart. le cc. I-II), 125, II’ (cart. la c. II’)
Conventi Soppressi 276

Il codice, vergato in littera textualis su due colonne, contiene una miscellanea di testi di argomento medico, in prevalenza attribuiti a un «Iohannes eben Mesue» (c. 1rA): il Grabadin medicinarum particularium sulla cura delle malattie particolari, seguito dalle aggiunte, anonime nel manoscritto, di Pietro d’Abano (1257-1315); i Canones, suddivisi in Canones universales o De consolatione medicinarum, con osservazioni di carattere generale, e De simplicibus, che descrive le proprietà di alcune piante e pietre; il Grabadin medicinarum universalium «quod dicitur antidotarium de electuariis et confectionibus» (c. 101rA), sulla composizione e l’utilizzo di elettuari, sciroppi, decotti, pillole, unguenti. Ma¯sivya¯ al-Ma¯rdinı¯ o Mesue iunior è una figura storica alquanto controversa, da non confondere con Yu¯h.anna ibn Ma¯sawaih (ca. 777-857), conosciuto nell’Europa latina come Mesue senior, prolifico traduttore, compilatore e autore di numerose opere originali. Si suppone che Mesue il Giovane sia nato a Mardin sull’Eufrate, abbia studiato medicina e filosofia a Baghdad e abbia seguito le lezioni di Avicenna; la sua morte è posta intorno al 1015. Di lui non sono stati trovati gli scritti originali, anzi, si dubita in verità della loro esistenza; non è infatti da escludere che Mesue sia lo pseudonimo di un compilatore che ha redatto le opere succitate direttamente in latino o traducendo dall’arabo (potrebbe essere il caso dei Canones; cfr. Lieberknecht).
Un’altra mano ha vergato le aggiunte a partire da c. 123vB, che raccolgono brevi testi tradotti dall’arabo in latino, come il De asmate ad Almansorem di Maimonide, filosofo e medico cordovese del XII secolo allievo di Averroè e autore, fra l’altro, di trattati di medicina su argomenti che vanno dall’igiene ai veleni. Seguono due testi sulla cura dei calcoli renali, il De curatione lapidis di Ibn Zuhr (o Avenzoar; «Algaçir» nel ms., c. 124rA), uno dei più grandi clinici musulmani del XII secolo, e il De praeservatione ab aegritudine lapidis di Rhazes.
Diverse le iniziali miniate: zoomorfa quella di c. 2rB, con figure umane che illustrano i testi la maggior parte, come l’ammalato che accosta la mano all’orecchio nel capitolo «de curis egritudinum aurium» (c. 21rB) o l’uomo intento a preparare uno sciroppo medicinale (c. 121rA). La miniatura, fiorentina del XIV secolo secondo D’Ancona, potrebbe essere stata eseguita invece in ambito aretino, forse da Ristoro d’Arezzo, negli anni 1275-1280 (Ciardi Duprè Dal Poggetto; per un’opinione diversa cfr. Labriola 1987; per una datazione più tarda cfr. Pomaro 1982). Il codice proviene dal convento domenicano di Santa Maria Novella ed è confluito in Laurenziana nel 1809. Si espone la c. 101r con l’incipit del Grabadin medicinarum universalium; sul margine sinistro è una buffa figura intenta a preparare un medicinale.

[E.A.]

Del Furia 1846-1858, II, cc. 466r-467r ; D’Ancona 1914, II/1, pp. 52-53; Ciardi Duprè dal Poggetto 1980, pp. 20-21, figg. 36-39; Pomaro 1982, pp. 287-289; Labriola 1987, pp. 149-150 e figg. 4, 5.

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