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L'Europa riscopre i suoi antichi libri nascosti

Metodologie e tecniche

Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Conv. soppr. 627, c. 48r

Immagine a luce naturale Il manoscritto, di piccole dimensioni (mm 173x128), è uno dei cimeli più preziosi della Biblioteca Medicea Laurenziana: testimone unico, oltre che di alcuni testi bizantini, dei romanzi di Caritone, di Senofonte Efesio e di alcuni capitoli delle Storie pastorali di Longo, è noto anche per le complesse e sfortunate vicende di danneggiamenti e di tentati restauri che hanno accompagnato nell'Ottocento la riscoperta e la valorizzazione dei testi da esso tramandati.

Composto di 142 fogli di carta orientale, fu scritto negli ultimi decenni del XIII secolo da un dotto legato alle tradizioni del regno di Nicea, ma che potrebbe aver operato nella Costantinopoli paleologa. Il codice fu acquistato dall'umanista fiorentino Antonio Corbinelli e alla sua morte passò nel 1425 per legato testamentario alla Badia Fiorentina. Il primo a servirsene filologicamente fu Angelo Poliziano che ne trascrisse brani di Senofonte Efesio e di Longo; quindi Henri Estienne durante i suoi soggiorni fiorentini alla metà del XVI secolo si rese conto della novità e importanza dei testi e copiò o collazionò tutti i romanzi, in vista di una loro edizione che, annunziata, non fu però realizzata. Il manoscritto rimase poi ignorato e inutilizzato fino al viaggio in Italia nel 1700 di Bernard de Montfaucon, che lo segnalò al suo ospite fiorentino Anton Maria Salvini perché ne pubblicasse gli inediti romanzieri. Difficoltà editoriali ritardarono fino al 1723 l'editio princeps di Senofonte Efesio e al 1750 la stampa del romanzo di Caritone.

Paul-Louis Courier (1773-1825) Le Storie pastorali rimasero invece trascurate fino al 1807, quando Paul-Louis Courier, allora ufficiale napoleonico, consultando in Badia il codice si accorse che esso conteneva una sezione del romanzo di Longo mancante in tutti gli altri mss. Tornato a Firenze due anni dopo, con l'aiuto dei bibliotecari Francesco del Furia e Gaspare Bencini trascrisse tale testo in Laurenziana, dove il codice era frattanto passato per la soppressione del convento di Badia. Terminata la copia, il Courier restituì il codice inserendovi, per incuria o dolo, un foglio imbevuto d'inchiostro che si appiccicò alla c. 23v, proprio sul brano mancante negli altri mss. di Longo. Una volta rimosso tale foglio, la carta subì degli strappi e rimase coperta da due ampie macchie d'inchiostro: un trattamento con reagenti chimici a cui fu poco dopo sottoposta ebbe il solo effetto di renderla più sbiadita schiarendo il colore delle macchie, senza alcun guadagno per la decifrazione.

Immagine elaborata I successivi esami della pagina macchiata non riuscirono così a dirimere le divergenze, fonti di violente polemiche fra le letture effettuate da Courier e e quelle di Del Furia-Bencini, nemmeno nelle parti sbiadite fuori della macchia. Nel '900 si ricorse a riprese fotografiche per tentare controlli e recuperi testuali: le prime lastre furono effettuate nel 1912 per conto di R. Gaschet, quindi nel 1928 e nel 1939 furono fatte altre riprese fotografiche, i cui negativi si conservano nell'Archivio della Laurenziana. Nell'ambito del progetto "Rinascimento virtuale" si sono effettuate riprese digitali e rileborazioni a cura della Fotoscientifica, a documentare lo stato attuale della pagina e a tentare eventuali recuperi. I risultati, se non permettono progressi nelle parti guastate dalle macchie, consentono una più netta definizione della scrittura superstite e la soluzione di qualche problema testuale.

Francesco Del Furia (1777-1856) Meno noto è un altro grave danno subito dal manoscritto qualche decennio dopo il primo guasto, questa volta nella parte del romanzo di Caritone, per effetto di un intervento teso a recuperare la scrittura evanida con reagenti chimici. Quando il testo di Caritone fu trascritto agli inizi del '700 da Anton Maria Salvini (la cui copia si conserva oggi presso la Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia), la I pagina del romanzo (c. 48r) era già di scarsa leggibilità, soprattutto per macchie di umidità, e il professore fiorentino dovette rinunciare a dar conto di vari passi; analogamente anche il successivo trascrittore Antonio Cocchi, la cui trascrizione fu alla base della prima edizione a stampa, tralasciò molte righe di testo e pur ritornando più volte sulla pagine, con l'aiuto anche di lenti di ingradimento, fu costretto ad arrendersi all'impossibilità di procedere oltre. Così l'editio princeps del d'Orville (Amsterdam 1750) dovette rassegnarsi a presentare nella trascrizione di c. 48r ampie lacune. Diffusasi, dopo le scoperte del Mai, l'abitudine all'impiego di reagenti chimici, nel 1842 il filologo olandese Carel Gabriel Cobet ottenne dal prefetto della Laurenziana, Francesco Del Furia, il permesso di applicarli su tutto lo specchio di scrittura della c. 48r.

Trascrizione a cura di Carel Gabriel Cobet (1813-1889) del testo a c.48r del Laur. Conv. Soppr. 627 Il risultato immediato fu positivo e il Cobet potè decifrare molto di nuovo nella trascrizione che poi lasciò alla Laurenziana e si trova oggi allegata al ms. Purtroppo però in questo modo la pagina ha subito un grave danno materiale perché il reagente impiegato ha prodotto una patina bluastra che rende oggi la scrittura spesso indecifrabile. Anche per questa carta si è ricorsi a ripresa digitale e a rileborazione a cura della Fotoscientifica, sia per documentare l'attuale stato codicologico sia per tentare possibili recuperi testuali. In questo caso la patina prodotta dal reagente chimico ha provocato una diffusa ombratura e la rielaborazione della foto digitale permette di evidenziare solo parte dei segni che si confondono col rumore di fondo. Anche per questo tentativo di recupero si rimanda ai citati atti del Convegno sui palinsesti.
Augusto Guida