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L'Europa riscopre i suoi antichi libri nascosti

Metodologie e tecniche

Inchiostri e reagenti: dalla noce di galla ai cianuri complessi

Eventi fortuiti o volontari interventi potevano condurre alla sparizione dell’inchiostro da una superficie scrittoria. Per far rivivere le scritture scomparse vennero pertanto sperimentate, in contesti diversi e con differenti intenti, soluzioni varie.
Firenze, BML Plut. 6.23, c. 4v: Scriba allo scrittoio con porta inchiostri in primo piano Sono numerose le ricette per la fabbricazione degli inchiosti che la tradizione medievale ci ha consegnato, dall’Estremo Oriente all’Europa, ma spesso di difficile intrepretazione, a causa della loro stereotipia o della personalizzazione nell’applicazione.
Al di là tuttavia delle varianze (regionali, locali o addirittura individuali) è possibile affermare che due sono le grandi classi (non del tutto impermeabili, è pur vero) in cui sono raggruppabili gli inchiostri medievali, determinate dalle sostanze per la composizione: - inchiostri a base di carbone, ricavati dalla mescolanza di un pigmento nero (nerofumo) con un legante; - inchiostri metallo-gallici, ottenuti dalla reazione chimica tra un tannino vegetale e un solfato. Il tannino più diffuso era ricavato dalla noce di galla, vale a dire da un’escrescenza (esito della puntura di insetti), che si sviluppa su taluni tipi di querce e i solfati erano quello di ferro (comunemente chiamato vetriolo) oppure di rame.
Noci di galla Mentre nel caso di inchiostri a base di carbone la situazione, al fine della rivivficazione delle scritture, si presentava assai complessa e i tentavivi di recupero ardui, se non addirittura fallimentari, nel caso degli inchiostri metallo-gallici proprio la componente base permetteva di ottenere buoni risultati facendo rivivere le tracce di scrittura scomparsa o con l’aiuto di un tannino vegetale oppure attravero la reazione combinata di un acido e di un sale basico.
Si potrebbe dire che con la nascita, e quindi la rapida e fortunata evoluzione, della Palimpsestforschung, tra XVIII e XIX secolo, i due tipi di reagenti venivano quasi a riflettere culture e tradizioni differenti: più tradizionale e legata a forme di sperimentazione pratica quella che faceva uso di tannini vegetali (prevalentemente la noce di galla, si è detto, ma si potevano più semplicemente impiegare cipolle infuse nel vino), aperta alle innovazioni offerte dai progressi della scienza chimica quella che si rivolgeva ai reagenti sintetici.
Manuale di Le Moine Tali differenze si incarnano nelle figure dei due maggiori decifratori italiani di palinsesti del XIX secolo: Angelo Mai e Amedeo Peyron.
Torino, BN cod. a II 2* Angelo Mai rimase sempre fedele all’impiego della soluzione di noce di galla, strumento già da tempo presente nell’uso pratico, come mostrano, ad esempio, le ricette offerte da un manuale di ampia diffusione dalla seconda metà del XVIII quale la Diplomatique-pratique, ou Traité de l’arrangement des Archives et Trésors des chartes del Le Moine. Tale fedeltà del Mai resistette anche a fronte dell’offerta da parte di chimici (come ad esempio Humphry Davy, il maggior studioso del potassio nella prima metà del XIX secolo) di reagenti sintetici più efficaci.
Su posizione diametralmente opposta si pone Amedeo Peyron, abile utilizzatore di un reagente sintetico messo a punto da Giovanni Antonio Giobert intorno alla fine del XVIII secolo, basato sull’impiego di un cianuro complesso quale il ferro cianuro potassico, sostanza chiave impiegata in un bagno per le pergamene che Peyron stesso descrive accuratamente nella prefazione all’edizione da lui curata dei frammenti di orazioni ciceroniane scoperti nel codice a II 2* della Biblioteca Nazionale di Torino (M. Tulli Ciceronis Orationum Pro Scauro, Pro Tullio, et in Clodium fragmenta inedita. Pro Cluentio, Pro Caelio, Pro Caecina etc. variantes lectiones. Orationem Pro T. A. Milone a lacunis restitutam ..., Stuttgardiae et Tubingae 1824). I fogli di pergamena venivano dapprima lavati con acqua semplice, quindi intinti in una soluzione di acido muriatico, che serviva a liberare il ferro dall’ossido, poi passati in una soluzione di ferro cianuro potassico, infine nuovamente lavati, perché la soluzione non corrodesse la pergamena. L’impiego caute prudenterque (come ebbe a dire Wilheml Studemund, ammiratore della capacità di Peyon) del reagente chimico ebbe esiti in molti casi notevoli, sia per il tasso di leggibilità tanto della scrittura inferior quanto di quella superior, sia per il grado di conservazione della pergamena.
Francesco Lo Monaco