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L'Europa riscopre i suoi antichi libri nascosti

Obiettivi e attività

Modalità di produzione nell'antichità e luoghi di produzione e conservazione

Bottega del Palinsestatore - Floriano di Pier Villola, Memorie istoriche di Bologna. - BOLOGNA, Biblioteca Universitaria, ms. 1456, fol. 4r. - Image © Biblioteca Universitaria di Bologna Non ignota alla produzione libraria antica anche su papiro, la prassi di rimozione della scrittura da una superficie al fine di rendere quest'ultima riscrivibile ebbe nella pergamena l'applicazione più vasta, e quasi istituzionalizzata dalla natura del supporto stesso, stando a quanto già diceva Marziale, nell'ultimo ventennio del I secolo d. C., in un epigramma degli Apophoreta (XIV 7 Pugillares membranei)
Esse putas ceras, licet haec membrana vocetur: delebis quoties scripta novare voles.

[Fa conto, anche se le chiamano pergamene, che siano tavolette di cera:cancellerai quel che c'è scritto ogni volta che vorrai usarle di nuovo (trad. di Mario Scàndola)]
Quando, all'interno della produzione libraria, la pergamena giunse a sostituire in maniera pressoché definitiva il papiro come superficie su cui scrivere, motivi vari condussero allo sfruttamento di questa caratteristica del supporto pergamenaceo: motivi materiali, legati alla logica del riuso (dalla maggior economicità della pergamena abrasa alla possibilità di riutilizzare una mise en page già strutturata), come anche motivi simbolicamente ideologici, connessi all'idea della cancellazione come damnatio.

Pratica ammessa anche dalla norma legislativa, che distingueva tra charta deleticia e charta nova (Ulpiano, Dig. XXVII 11, 4), il reimpiego della pergamena trovò comunque delle limitazioni di ordine culturale, se in Oriente, sul cadere del VII secolo d.C., si giunse per disposizione conciliare a proibire di cedere ai bibliokapeloi manoscritti con testi della Scrittura o dei Padri, giacché questi artigiani non avevano come attività quella di vendere libri quanto piuttosto quella di cancellare ciò che vi era di scritto, al fine, ovviamente, di rendere il supporto scrittorio riutilizzabile. Pur tra norme e auspicate cautele, l'attività del radere le pergamene ebbe una notevole diffusione nel mondo della produzione del libro medievale, sia in Occidente sia in Oriente, tanto che la prassi venne codificata anche in ricette, come quella, del secolo XI, conservata in un manoscritto latino proveniente dal monastero bavarese di Tegernsee:
Quicunque in semel scripto pergameno necessitate cogente iterato scribere velit, accipiat lac imponatque pergamenum per unius noctis spacium. Quod postquam inde sustulerit, farre aspersum, ne ubi siccari incipit in rugas contrahatur, sub pressura castiget quoad exsiccetur. Quod ubi fecerit, pumice cretaque expolitum priorem albedinis suae nitorem recipiet (München, Bayerische Staatsbibliothek, clm 18628, f. 105v)

[Chiunque, spinto dalla necessità, voglia scrivere di nuovo su di una pergamena già scritta la metta nel latte per una notte. Quindi, dopo aver tolto la pergamena dal bagno e averla cosparsa di farina, perché, asciugandosi, non si raggrinzisca, la metta sotto pressione fino all'asciugatura. Fatto questo, e dopo averla pulita con pietra pomice e creta, la pergamena riacquisterà il suo primitivo nitore.]
In colore sono evidenziate le aree geografiche del Mediterraneo Centrale e Orientale nelle quali vennero prodotti palinsesti Anche dal punto di vista iconografico, il miniatore che a Bologna, nella seconda metà del XIV secolo, decorò la cronaca di Floriano di Pier Villola con la raffigurazione della bottega di un pergamenarius, decise di porre in evidenza l'immagine di un operaio intento a radere la scrittura dalla superficie di un foglio, l'immagine cioè di quel rasor o abrasor cartarum che nel variegato mondo della produzione libraria bassomedievale aveva ottenuto una dimensione di artigianalità autonoma e definibile.

Materiale di riciclo, e quindi povero, la pergamena abrasa era per lo più destinata a una produzione libraria di non alto livello e, a quanto sembra, prevalentemente collegata a centri laterali: per quanto riguarda i manoscritti greci, dall'Italia settentrionale (in questo caso soprattutto nell'alto medioevo) all'ambito sinaitico-palestinese, a quello italogreco, sebbene non manchino casi ubicabili nella Constantinopoli del XIV e della prima metà del XV secolo.