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Campioni di oratoria e maestri di retorica a Bisanzio
(dal saggio di Stefano Martinelli Tempesta)

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Nel mondo bizantino la conservazione della letteratura antica non era finalizzata a un recupero di un sistema di valori di riferimento – come sarà poi, in certa misura, il recupero dell’Umanesimo italiano –, ma soltanto alla difesa della vera fede, nei confronti della quale la cultura antica a Bisanzio manterrà sempre un ruolo subalterno. Tuttavia non si può ridurre la presenza dei classici a Bisanzio a un fenomeno sostanzialmente linguistico e limitato a una statica imitazione stilistica: pur nell’ambito di una cultura pervasa dall’ortodossia, la conservazione e il riuso della letteratura classica assunse presso i Bizantini dinamiche variabili in linea con il mutamento dei contesti storico-politici, nell’ambito di un’attività letteraria assai variegata e spesso militante.
I due pilastri culturali su cui si regge il mondo bizantino, ortodossia cristiana ed ellenismo, affondano le radici nell’epoca in cui il Cristianesimo, con la svolta costantiniana, entrò a pieno titolo a far parte dell’élite gravitante intorno alle sfere del potere e della classe dominante. Con i padri cappadoci nella seconda metà del IV secolo la retorica entra a far parte della strumentazione necessaria ad abbellire e a rendere più efficace il messaggio del Logos divino. La retorica ebbe sempre una funzione pratica politica e sociale, in quanto strumento necessario alla formazione dell’élite che contava sul supporto scolastico di grammatici, retori e filosofi. I componenti di questa élite, per svolgere le normali funzioni del proprio mestiere, cioè per redigere lettere, discorsi di apparato legati al cerimoniale, documenti ufficiali di varia natura, dovevano padroneggiare gli strumenti della retorica.

I testi teorici utilizzati per l’insegnamento della retorica di gran lunga più fortunati a Bisanzio furono i Progymnasmata di Aftonio (fine del sec. IV d.C.), e i due trattati De statibus e il De ideis di Ermogene (sec. II d.C.), anche grazie ai commenti che tra i secoli IV e V furono redatti in ambito neoplatonico da Sopatro, Siriano, Marcellino e Giorgio di Alessandria. Fra gli oratori è opportuno distinguere tra i classici veri e propri, cioè, in sostanza, gli oratori attici dei secoli V e IV a.C., e gli autori del II secolo d.C. Il canone dei dieci oratori come attestato dall’opuscolo pseudo-Plutarcheo sulle Vite dei dieci oratori (Antifonte, Andocide, Lisia, Isocrate, Iseo, Eschine, Licurgo, Demostene, Iperide, Dinarco) non corrisponde esattamente a ciò che la trasmissione ci ha conservato. Sono giunti a noi, attraverso la tradizione manoscritta bizantina, quasi tutto ciò che circolava sotto il nome di Demostene (61 orazioni), praticamente tutto ciò che si riteneva autentico di Isocrate (21 orazioni), 3 orazioni di Eschine, una drastica selezione di Lisia (31 orazioni) e di alcuni minori (4 orazioni di Andocide, 11 di Iseo, 3 di Dinarco, 6 di Antifonte, 1 di Licurgo) con alcuni declamatori antichi (Gorgia, Alcidamante) e di età antonina (Lesbonatte, Erode Attico). Spicca l’assenza di Iperide, la cui sopravvivenza è legata alle scoperte papiracee.

I due rami della tradizione manoscritta di Isocrate risalgono a due iniziative editoriali (secc. VIII-IX) di corpuscula: della prima risulta unico testimone primario un manoscritto della fine del IX secolo (Vat. Urb. gr. 111 = Γ), erede di un’edizione, probabilmente di area costantinopolitana, alla quale lavorarono alcuni personaggi i cui nomi sono sopravvissuti nelle sottoscrizioni presenti alla fine delle prime sei orazioni. Alcuni indizi inducono a credere che questa edizione risalga a una scuola retorica costantinopolitana del V secolo d.C. Il capostipite della seconda famiglia sembra risalire a un’iniziativa editoriale legata alla scuola neoplatonica di Alessandria nel VI secolo.
Anche nel caso di Demostene i principali fra i manoscritti più antichi completi riproducono differenti edizioni antiche, frutto dell’assemblamento di corpuscula comprendenti orazioni della medesima categoria. Uno di questi è il codice Par. gr. 2935 (sec. X), dal cui modello è stato parzialmente copiato anche il Laur. Plut. 59.9. Circolazione su rotolo di singole orazioni lunghe, formazione di corpuscula tipologici e accorpamento in grandi codici-corpora tardoantichi, che sono poi stati traslitterati e hanno dato origine ai rami primari della nostra tradizione: sono tutte caratteristiche che accomunano la trasmissione dei due campioni preferiti dai Bizantini, l’uno in quanto rappresentante dell’oratoria giudiziaria e politica (Demostene), l’altro di quella epidittica (Isocrate).

Accanto a Isocrate l’altro grande campione dell’oratoria epidittica a Bisanzio è Elio Aristide. Nelle vicende della sua tradizione e della sua fortuna a Bisanzio egli si trovò di frequente affiancato a Demostene, il suo principale modello. La coppia Demostene-Aristide fu oggetto di uno specifico confronto nel Saggio critico su Demostene e Aristide di Teodoro Metochite. Il ruolo di campione dell’oratoria epidittica, che Aristide contese a Isocrate, gli assicurò gli stessi canali di trasmissione riservati ai classici, ma la formazione di un corpus completo (anche in differenti edizioni) non risale alla tarda antichità, né alla prima età bizantina, bensì all’epoca della rinascita paleologa, verso la fine del XIII secolo. Sono inoltre attestate aggregazioni di discorsi combinati in vario modo, probabilmente frutto dell’accorpamento di originari corpuscula di varia natura, qualche volta di singole orazioni, fra cui il più antico manoscritto medievale di Aristide, il Laur. Plut. 60.3, copiato all’inizio del X secolo dal calligrafo Giovanni per Areta.