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Platone, Aristotele e gli altri: il percorso della sapienza antica dall’Oriente greco a Firenze
(dal saggio di Idalgo Baldi)

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Il 15 febbraio del 1439 l’imperatore bizantino Giovanni VIII Paleologo (1392-1448) fece il suo ingresso solenne a Firenze per partecipare ai lavori conciliari, intrapresi a Costanza nel 1431, insieme con il seguito imperiale di cortigiani, ecclesiastici e intellettuali bizantini, e anche con una piccola, ma eccellente schiera dei massimi rappresentanti della grecità antica: essi viaggiavano, silenziosi e invisibili, nelle casse che trasportavano i preziosi i manoscritti, nei quali erano copiate le opere degli autori greci. Quali fossero alcuni di questi libri ce lo racconta la fortunata testimonianza autoptica di Ambrogio Traversari (1386-1439), uno dei Padri conciliari occidentali, lui stesso appassionato studioso dell’antichità classica: “tre volumi (…) straordinari: uno di Platone, dove erano contenute tutte le sue opere in bellissima scrittura; di Plutarco una gran mole piuttosto che un libro, nel quale c’erano parimenti tutti i suoi scritti; e uno di Aristotele, non ugualmente bello, dove tutti i suoi trattati più noti erano commentati”.
Inoltre, con quei tre monumentali volumina giungevano tre tra i più colti e influenti intellettuali bizantini: l’erudito metropolita di Nicea Basilio Bessarione (ca. 1408-1472), il suo antico maestro Giorgio Gemisto Pletone (1355-1452) e il futuro patriarca di Costantinopoli Giorgio Gennadio Scolario (ca. 1405-1472), tre personaggi che rivestiranno negli anni a seguire un ruolo fondamentale, risvegliando la passione per la filosofia e le sue dottrine sino ad allora in parte inaccessibili.

Per quel che riguarda la filosofia, ma non solo, il periodo di strutturazione dei canali di trasmissione del sapere antico, e dunque il momento decisivo per la sopravvivenza delle opere frutto della sapienza greca, è da individuare in quel gruppo di secoli che va sotto il nome di Tarda Antichità (fine III-VI secolo d.C.). È questo il tempo in cui, per opera soprattutto delle scuole neoplatoniche di Atene e Alessandria, si strutturano quei curricula scolastici che saranno trasferiti nella Costantinopoli medioevale e che sopravviveranno, praticamente inalterati, sino alla fine dell’impero bizantino (1453).
Già nel IV secolo, infatti, la gran parte dell’enorme mole di produzione filosofica era divenuta pressoché irreperibile, e anche le opere dei fondatori o dei più noti rappresentanti delle scuole filosofiche maggiori, come gli Stoici, gli Epicurei, i Pitagorici, i Cinici o gli Scettici, in realtà sopravvivono per noi per lo più solo grazie alle citazioni o agli estratti dei filosofi Neoplatonici (attivi dal III secolo in poi). Dunque, furono soprattutto Platone e Aristotele, in quanto padri dei due più grandi sistemi filosofici dell’antichità, a godere delle cure di altri filosofi, che li lessero, li studiarono, li commentarono e postillarono così da riuscire ad assicurare, almeno alla maggior parte della loro produzione, un posto anche nelle biblioteche di Costantinopoli. A Bisanzio, infatti, si era continuato a leggere, a copiare e ancora a commentare proprio quei testi, con l’eccezione di pochissimi altri, divenuti canonici già secoli prima.
Tuttavia la filosofia non occupava più la prestigiosa sede di culmine del sapere, ma era stata subordinata, come un’ancella, alla più nobile teologia, unica fonte della vera sapienza e della verità. Agli occhi di un bizantino colto, Aristotele e Platone valevano quasi esclusivamente come modelli per l’arte del ragionamento (logica) o per l’arte della parola (retorica).

Nel IX secolo ci sono personalità di grande rilievo: è il caso di Leone il Filosofo, che personalmente revisionò il testo di Platone, e di Areta di Patrasso, arcivescovo di Cesarea. Inoltre riveste un’importanza particolare il progetto editoriale rappresentato da un folto gruppo di manoscritti noto come “collezione filosofica”, della quale uno splendido esemplare è il Laur. Plut. 80.9. Nonostante le origini di questa raccolta, che comprende in maggioranza scritti di Platone e Aristotele, ma anche dei loro commentatori tardo antichi (Proclo, Damascio, Olimpiodoro, Albino, Simplicio, Ammonio, Alessandro di Afrodisia), rimangano ancora avvolte nel mistero, è innegabile che essa testimoni un interesse eccezionale per la filosofia ellenica proprio tra IX e X secolo.
Con la prima età dei Paleologi si aprì una grande stagione all’insegna del recupero dei testi classici – e dei libri –, e dunque anche filosofici, ideologicamente volta a recuperare un’identità che sembrava essere stata profondamente sfigurata con l’esilio del periodo niceno.
Alla fine del XIV secolo a Firenze si ebbero anche i primi acquisti di libri di Platone e Aristotele direttamente dalla Grecia: in tal modo Leonardo Bruni (1370-1444) poteva intraprendere la sua impresa di traduzione dagli originali greci, prima di Platone, del quale curò le versioni di numerosi dialoghi, e poi di Aristotele, che lo impegnò soprattutto per l’Etica Nicomachea e la Politica.
Prolifico traduttore fu pure Francesco Filelfo (1398-1481), insegnante di greco, conscio dell’importanza di dover leggere i testi nella loro lingua originale. Negli anni 1429-1433 a Firenze egli lesse per i suoi studenti l’Etica Nicomachea di Aristotele, il cui splendido esemplare, recante le note in greco di sua mano, è il Laur. Plut. 81.11.