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Storici greci a Bisanzio: alcuni problemi di ricezione del classico
(dal saggio di Leone Porciani)

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A Bisanzio chi era interessato alla conoscenza degli storici classici? Per rispondere si può partire da un dato e da una concezione diffusa, che spingono a ritenere che l’interesse per la storia, e quindi anche per gli storici del mondo antico, sarebbe stato a Bisanzio limitato e socialmente marginale. Il dato inconfutabile è costituito dalle gravi perdite subite dal patrimonio storiografico antico e la vicenda intricata della tradizione dei testi; l’assioma è la fondamentale estraneità della storia ai programmi educativi delle scuole, nel mondo antico, tardoantico e bizantino.
Il dato reale tuttavia va rapportato anche agli altri generi e contestualizzato nelle fasi storiche di Bisanzio. D’altra parte l’assioma è discutibilissimo in primo luogo per la vaghezza dei concetti di «scuola» e di «scolastico», dato il carattere variabile della formazione letteraria nel tempo e nello spazio, tra mondo antico, tardoantico e bizantino; in secondo luogo per lo stretto rapporto fra storia e retorica.

Chi leggeva, dunque,Tucidide, Erodoto, Polibio o Cassio Dione dal IV secolo in poi, fin oltre la soglia del II millennio? Certamente li leggevano gli storici. Per esempio Laonico Calcondila, che nel XV secolo scrisse le Historiarum demonstrationes, ricorda nell’introduzione le «imprese grandi e illustri compiendo le quali i Greci raggiunsero una grande fama». È un’allusione a Erodoto, il primo gigante della storiografia greca (V sec. a.C.) (Plut. 32.16). Il rimbalzo di echi letterari da un capo all’altro della letteratura greca si spiega con le letture che gli storici di Bisanzio vollero dedicare, fino all’ultimo, ai grandi archetipi di un genere che mai si era smesso di praticare. La preoccupazione per la conservazione delle opere di storia emerge già nella seconda metà del IV secolo, sotto l’imperatore Costanzo II, cui è rivolto l’encomio di Temistio, del 357: la corte imperiale s’incarica di rimediare al pericolo di essere dimenticati, cui vanno incontro i grandi classici, e fra questi Tucidide (Plut. 69.2): lo storico per eccellenza, visto qui peraltro – ed è significativo – in una prospettiva che lo allinea ai grandi oratori dell’età classica. Molti secoli dopo la sua inaugurazione, la biblioteca imperiale fornisce la base per un’importante impresa erudita: la sistematica raccolta di passi da opere storiche voluta da Costantino VII Porfirogenito (X sec.), i cosiddetti Excerpta Constantiniana: un’enciclopedia contenente il patrimonio storiografico da Erodoto fino a Giorgio Monaco. Anche l’erudito Fozio parla di molte opere storiche nella sua Biblioteca: conosce ben ventisei storiografi che nel secolo successivo non saranno usati da Costantino VII e dalla sua cerchia.

Qualcosa del gusto di Fozio per le rarità ritorna, verso l’anno 1000, nel grande lessico bizantino intitolato Suda: si tratta di un “dizionario” assai più pedestre; tuttavia è interessante la curiosità erudita che trapela dalla selezione di storici del V secolo a.C. cui la Suda dedica delle voci bio-bibliografiche.
Ma non sono solo i grandi dotti a essere attenti alla storiografia antica. Se ne interessano anche lettori comuni: una traccia è data da un frammento di codice papiraceo nel quale, dopo testi biblici e una serie di massime morali cristiane, compare l’inizio del VI libro di Tucidide (papiri della Bibliotheca Bodmeriana di Cologny, in Svizzera, nn. 45, 46 e 27). Questo manoscritto riflette un modesto eclettismo culturale, ed è prodotto in un’area periferica dell’impero come l’alto Egitto, ma è interessante proprio perché è un raro documento sul posto della storia in una cultura di livello ordinario.
All’XI secolo appartiene l’interessante figura di Cecaumeno, autore di un libro molto personale: lo Strategikon. Privo di un’accurata formazione retorica, anche se ovviamente non del tutto digiuno di cultura letteraria, Cecaumeno esorta a leggere letteratura cristiana e «storie». Dal suo scritto emerge una conoscenza della Bibbia e dei padri della Chiesa, dei libri di tattica militare, di Cassio Dione e Flavio Giuseppe, delle cronache. Sono proprio le cronache, narrazioni lineari che in uno spazio ridotto riassumono secoli di storia dell’uomo, a essere spesso considerate un prodotto storiografico per il lettore medio.

Un indice di popolarità dei testi storici sono le loro traduzioni in latino: destinate al pubblico di quello che era stato l’impero romano d’Occidente, sono importanti per noi perché attestano l’ampiezza dell’orizzonte sociale di alcune letture e, pertanto, sono rivelatrici anche del tipo di pubblico cui erano destinati gli originali greci. Anche le epitomi di opere scritte in greco ebbero fortuna: la più famosa è quella che Xifilino, nipote dell’omonimo patriarca, trasse nella seconda metà dell’XI secolo dalla storia di Cassio Dione. Si tratta, insomma di un ampio strato di pubblico bizantino dedito alla storia: composto da tutti coloro che non sono storici, non appartengono ai vertici della corte, non sono grandi dotti. A seconda dei casi, la loro è una ricezione di livello medio o basso.