31. Bernardo da Parma, Glossa ordinaria in Decretales sec. XIV prima metà Il manoscritto, esemplato su due colonne da più copisti in una littera textualis semplificata di piccolo modulo, contiene l’opera più importante del canonista Bernardo da Parma, la glossa alle Decretales di Gregorio IX, un vasto apparato a cui l’autore lavorò per circa un trentennio, che presto si affermò come l’apparato per eccellenza. Il lavoro valse a Bernardo il titolo di «glossator», ovvero «Decretalium apparatus compilator». Le indicazioni di pecia sui margini di diversi fogli del manoscritto ne denunciano un’origine universitaria. Per far fronte alle continue richieste di libri di testo, ma anche per vigilare sull’autenticità e correttezza dei testi, in molte università europee (soprattutto Parigi e Bologna), a partire dal XIII secolo, si elaborò un sistema particolare di moltiplicazione dei libri. Il sistema della pecia consisteva in sostanza nella copia simultanea di fascicoli sciolti (pecie, appunto) di un testo universitario. Una commissione di petiarii nominata dall’università ed eletta all’inizio di ogni anno accademico, come si evince dagli statuti, aveva il compito di verificare la correttezza testuale di un’opera, il cui exemplar (modello) suddiviso in “pezzi” veniva depositato presso le botteghe degli stationarii (librai) ufficiali delle università dove, dietro pagamento di una tariffa prestabilita, poteva essere preso in affitto per essere copiato; la commissione era la sola autorizzata ad approvare l’exemplar, sottoposto ad un controllo periodico, a deciderne il prezzo di affitto (taxatio), a pubblicare la lista dei testi scelti approvati dall’università. Allo stazionario, responsabile dello stato di conservazione delle opere affidategli, spettava esporre la lista degli exemplaria, con l’indicazione del numero di pecie per ciascuna opera e la tariffa della locazione, e, alla richiesta di un cliente, si occupava di distribuire i “pezzi” sciolti allo scriptor perché li copiasse e li riconsegnasse in modo da renderli disponibili per un’altra copiatura a rotazione. Era così possibile realizzare più copie nel tempo generalmente necessario per una sola. I copisti, solitamente laici, anche donne o studenti, annotavano spesso il numero progressivo di ogni pecia che esemplavano. Nel nostro manoscritto queste indicazioni, saltuarie, si trovano segnate nei margini in varie forme ad indicare l’inizio o la fine di una pecia: «Hic finitur IIa petia» (c. 13v) o semplicemente «Finitur XVI petia» (c. 93r), «Sequitur IX petia secunde partis…» (c. 322r), «petia X secunde partis» (c. 331r), «XXXIIIa petia» (c. 415r). Il codice è giunto nella Biblioteca Laurenziana nella secondametà del Settecento dal convento fiorentino di Santa Croce, come attestano le note presenti a c. IIr (cart.). Si espone la c. 13v dove compare l’indicazione «Hic finitur IIa petia» (margine sinistro). Torna Su |
Copyright © Biblioteca Medicea Laurenziana |
---|