De verecundia

Sebbene scritto già entro il 1390, Salutati considera la lunga epistola De verecundia (scheda n. 43) quasi una postilla al De nobilitate legum et medicine. In essa risponde a due questioni postegli dall’amico medico Antonio Baruffaldi, ossia se sia giusto che i medici non si dedichino alla retorica e se la verecondia sia una virtù o un vizio.

In aperto contrasto con Petrarca, Salutati ritiene che la medicina non sia un’arte muta e che la retorica sulla bocca dei medici possa diventare terapeutica e portare sollievo e consolazione ai malati.

Quanto alla verecondia, invece, Salutati ne distingue diversi tipi - la vergogna come imbarazzo per il compimento di un atto turpe; la vergogna come tristitia di fronte ad un’azione disonorante; la vergogna come timor del disonore - e per ciascuno offre un giudizio morale.

La notorietà dell’opera è legata soprattutto al principale codice che la tramanda: il Laur. Strozzi 96, datato al 1403 circa e rivisto da Salutati, che conserva una delle prime sperimentazioni in littera antiqua da parte di Poggio Bracciolini e costuisce pertanto un precoce esempio del recupero in ambito umanistico fiorentino di forme grafiche all’antica.